Termina con un dichiarato
insuccesso la missione dell’AIEA (l’ente delle Nazioni unite per l’energia
atomica), impegnata a Tehran per due giorni (20-21 febbraio) con lo scopo di
discutere e trovare una soluzione alla crisi innescata dal programma nucleare
iraniano[1].
L’iniziativa avviene per la seconda volta nel corso delle ultime settimane[2].
La precedente visita, anch’essa capeggiata dal vicedirettore generale dell’AIEA
Herman Nackaerts, si era svolta in un clima positivo generato dalla
disponibilità iraniana ad aprirsi cautamente all’Occidente, pur lasciando
irrisolte diverse questioni che nemmeno stavolta hanno ottenuto risposta.
Il principale motivo di «delusione»[3]
riguarda il diniego opposto dalle autorità iraniane alla richiesta di visitare
il sito nucleare di Parchin, nei pressi di Tehran, sospettato di ospitare strutture
in cui sarebbero stati effettuati test militari. E’ probabile che in seguito a
questo nulla di fatto, l’AIEA tenterà di organizzare un’ulteriore visita, ma
per il momento la situazione rimane statica.
Il segnale di apertura lanciato
dall’Iran negli ultimi tempi mostra un volto dell’élite al potere a Tehran assai diverso da come abitualmente viene
dipinto sui media occidentali. Al posto del proverbiale carattere di ostilità e
schizofrenia si è fatta strada una prospettiva più razionale e pragmatica, tesa
a valutare prudentemente qualsiasi mossa dell’avversario in quel complicato
gioco di potenza mediorientale fortemente scosso dalle rivoluzioni arabe del
2011.
Eppure, in seguito alla sconfitta
del fronte riformista e all’ascesa dei neoconservatori tra il 2003 ed il 2005,
l’approccio occidentale alla questione iraniana si era ulteriormente inasprito[4]
e la stessa linea di politica estera adottata da Tehran, e personificata dalla
figura del presidente Ahmadinejad, era risultata assai più intransigente ed
antagonistica rispetto all’epoca precedente, con un recupero dell’ideologia
islamista in funzione prettamente anti-israeliana e anti-americana.
Nonostante l’alto grado di
competizione politica interna, anzi probabilmente anche grazie ad esso, la
politica estera iraniana negli ultimi tempi ha mostrato di poter superare le
enormi difficoltà legate all’isolamento internazionale che opprime l’economia
del Paese da molti anni. Parlare di pragmatismo non è affatto improprio. La politica
estera iraniana della Repubblica islamica difficilmente può essere etichettata
come interamente ideologica e manichea. Al contrario, la situazione di
eccezionalismo che caratterizza l’identità del paese[5]
ha portato in generale l’establishment
a mantenere un atteggiamento cauto e prudente. Non sono mancati, è vero, gli
episodi di estremismo legati alla contrapposizione con Israele e gli Stati
Uniti (battezzati il piccolo ed il grande «Satana»), ma il piano della retorica
va distinto da quello dell’azione politica effettiva.
L’inizio della presidenza Obama
aveva lasciato ben sperare che le relazioni dell’Occidente con l’Iran, e col
mondo islamico più in generale, potessero intraprendere un nuovo corso. Nell’ottobre
2009, addirittura, in seguito ad indiscrezioni circa la natura militare del
programma nucleare iraniano, il gruppo «5+1» (i cinque membri permanenti al Consiglio
di Sicurezza ONU più la Germania) sotto la guida di Javier Solana, era stato
capace di condurre l’Iran al tavolo delle trattative[6].
Se inizialmente l’Iran aveva aderito alla proposta di trasferire l’uranio all’estero,
verso fine mese aveva già ritrattato la posizione iniziale lasciando che la
trattativa si arenasse. Manco a farlo apposta, appena otto mesi dopo, nel
maggio 2010, un accordo simile, benedetto seppur timidamente da Obama, venne
raggiunto con Turchia e Brasile[7].
Tehran da sempre afferma che il suo
programma nucleare, di cui non ha mai negato l’esistenza, è orientato a scopi
civili dal momento che avverte fortemente l’esigenza di emanciparsi dalla
dipendenza dal petrolio, risorsa che possiede in gran quantità (è il secondo
produttore Opec) e di cui vive di rendita. La necessità di disporre di uranio
arricchito al 19,75% è finalizzata anche al funzionamento di una centrale per
la produzione di isotopi medici, come i fatti delle ultime settimane hanno
evidenziato[8].
Risulta ormai evidente che l’elemento
principale che non consente a Iran e Stati Uniti di negoziare in maniera
sostanziale e diretta coincide con la mancanza di fiducia reciproca dovuta al
mancato accordo sulla vera natura del programma nucleare. Anni di ostilità e
confronto aspro hanno portato i due paesi all’impossibilità di concepire
qualsiasi meccanismo di intesa. Trita Parsi, presidente del National Iranian
American Council (NIAC), non si stanca mai di affermare che il principale
difetto nelle relazioni fra i due paesi consiste nella mancanza di
comunicazione. Se le informazioni non arrivano a destinazione in maniera
precisa e diretta, lo spazio per i sospetti ed i pregiudizi si amplifica. Qualsiasi
iniziativa diplomatica, pertanto, non può sortire effetti positivi.
Da parte sua, l’Europa è anch’essa
preda degli stessi pregiudizi che albergano a Washington; inoltre, le continue
divisioni inasprite dalla crisi economica in corso non facilitano l’elaborazione
di una prospettiva conciliante. Per questa ragione, d’accordo con l’alleato
americano, l’embargo sul petrolio è una misura che si aggiunge ad una serie di
sanzioni finalizzate ad assestare un colpo alle imprese ed alle banche iraniane.
Lo scopo è soffocare ogni volontà di procedere in avanti col programma
nucleare, minando la forza straordinaria che i Pasdaran hanno acquisito ormai da anni all’interno dell’economia
del paese.
Il fronte della comunità
internazionale, tuttavia, è spaccato: dalla parte opposta rispetto a Stati
Uniti e UE si collocano potenze economiche e militari come Russia e Cina,
legate a doppio filo all’economia iraniana. Gli ultimi round di sanzioni volute
fortemente dall’occidente non hanno registrato la loro adesione all’interno del
Consiglio di Sicurezza. Tra l’Iran e la Russia si sta consolidando ormai da
tempo un rapporto strategico, fondato sulle questioni energetiche. Nel
settembre 2011 la centrale nucleare di Bushehr per la produzione di elettricità
è stata finalmente attivata al termine di un iter, cominciato nel 1995, che ha visto la collaborazione dei due
paesi. Un’intesa che ha soddisfatto pienamente i due rispettivi ministri degli
esteri, Ali Akbar Salehi e Sergei Lavrov[9],
quest’ultimo impegnato nel garantire una diplomazia “step-by-step” che consente di alimentare la fiducia reciproca attraverso
lo scambio di informazioni e la possibilità per l’Iran di rivolgere quesiti in
cambio di un alleggerimento delle sanzioni[10].
Nella questione dei rapporti con l’Iran
si inserisce prepotentemente anche la crisi siriana: i forti interessi di Mosca
in quel paese (che risalgono all’epoca sovietica) hanno portato la Russia a
negare il proprio appoggio alla risoluzione di condanna della repressione
attuata da Bashar al-Assad. Tra i due paesi esiste una relazione basata sulla
vendita di armi; nello scorso mese di gennaio la flotta russa ha fatto visita
al porto di Taurus. Damasco rappresenta, poi, il principale se non l’unico
alleato di Tehran in Medio oriente dai tempi della Rivouzione islamica.
Insomma, dalla prospettiva di Iran e Russia gli equilibri regionali verrebbero
messi fortemente a rischio nell’ipotesi in cui cadesse il regime: un rischio,
quindi, che va assolutamente scongiurato.
Ecco, la Russia (come anche la Turchia
e il Brasile nel 2010) è riuscita laddove Stati Uniti ed Europa avevano
fallito. La differenza principale sta nell’approccio. Se l’Occidente non accetta
in alcun modo la possibilità che l’Iran si doti della capacità nucleare a scopi
civili, come contemplato dal Trattato di non proliferazione del 1968, al
contrario Mosca riconosce questo diritto. Se USA e UE continuano a credere che
la strada da percorrere sia quella delle sanzioni, la Russia ritiene che siano più fruttuosi la diplomazia ed il dialogo fondati sul riconoscimento delle
richieste avanzate da Tehran.
L’Iran, che attraverso le parole
del Presidente Ahmadinejad e del Ministro degli Esteri Salehi ha affermato la
volontà di recuperare il dialogo col gruppo del «5+1», sembra ormai essersi assuefatto
al pugno duro mostrato dall’occidente. La settimana scorsa ha addirittura deciso
di sospendere di propria iniziativa la fornitura di petrolio a Francia e Gran
Bretagna, in risposta all’ennesimo ciclo di sanzioni. Gli Stati Uniti, se pur
pressati dalla lobby ebraica e da Israele, non sembrano intenzionati realmente
ad intraprendere un’altra guerra e Tehran sembra averlo compreso. Minacce non
accompagnate da determinazione e fermezza risultano inconsistenti ed inefficaci
nel lungo periodo. Inoltre, nel pericoloso gioco delle sanzioni, è proprio l’occidente
che sembra destinato a perdere. Infatti, se l’Iran può facilmente diversificare
la clientela verso cui destinare il suo petrolio (Russia, Cina…), assai più
complicato risulta per i paesi europei chiedere, per esempio, all’Arabia
Saudita ed alle altre petromonarchie di aumentare la produzione da un giorno
all’altro. In una fase di crisi economica come quella attuale, poi, questo
meccanismo rischia di far lievitare il prezzo dei carburanti, esacerbando ulteriormente
le asprezze della crisi.
In sostanza, le intimidazioni da
parte occidentale non servono ad incutere il timore necessario per costringere Tehran ad
archiviare i propri disegni. Né l’America né tanto meno l’Europa sembrano
disporre della maggiore capacità negoziale. Di fronte alla mancanza di
incisività e nell’attesa di una soluzione alla crisi siriana in una partita più
grande che la Russia e la Cina non intendono perdere, la strategia dell’Iran
sembra essere, al momento, quella di guadagnare tempo. E, di fronte allo stallo
attuale, la strategia appare vincente.
[1] Iran nuclear talks a failure, says AIEA, Guardian, 22 febbraio
2012, http://www.guardian.co.uk/world/2012/feb/22/iran-nuclear-talks-failure-iaea?INTCMP=SRCH.
[2] UN nuclear experts plan another visit to Tehran, Payvand Iran news,
12 febbraio 2012, http://www.payvand.com/news/12/feb/1015.html
[3] UN nuclear inspectors declare Iran mission a disappointment,
Guardian, 22 febbraio 2012, http://www.guardian.co.uk/world/2012/feb/22/un-nuclear-inspectors-iran-mission?INTCMP=SRCH.
[4] Anche durante l’era della
presidenza Khatami gli Stati Uniti avevano mostrato notevole diffidenza e scarsa
inclinazione ad un rapprochement.
Questo, nonostante la volontà di cooperazione mostrata a più riprese da Tehran,
soprattutto in coincidenza con la crisi afghana generata dall’invasione
militare NATO dell’ottobre 2001.
[5] Una nazione persiana che
segue il ramo sciita della religione islamica all’interno di una regione popolata
da paesi a maggioranza araba e sunnita.
[6] Un valido focus sulla
questione nucleare iraniana si può trovare sul New York Times online, http://topics.nytimes.com/top/news/international/countriesandterritories/iran/nuclear_program/index.html,
aggiornato al 22 febbraio 2012.
[7] Glenn Kessler and Thomas
Erdbrink, Iran and Turkey reach unexpected
accord on enriched uranium, Washington Post, 18 maggio 2010, http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2010/05/17/AR2010051700105.html;
Trita Parsi, Reckless talks of war with
Iran makes confrontation a probability, 7 gennaio 2012, http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/trita-parsi-reckless-talk-of-war-with-iran-makes-confrontation-a-probability-6286410.html.
[8] Muhammad Sahimi, Iran’s nuclear program avances on three fronts,
Tehran Bureau, 16 febbraio 2012, http://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/tehranbureau/2012/02/news-iran-boasts-of-advances-in-nuclear-program.html#ixzz1manPmEKp.
[9] Iranian Bushehr nuclear plant comes online, 15 settembre 2011, http://oilprice.com/GeoPolitics/Middle-East/Iranian-Bushehr-Nuclear-Plant-Comes-Online-World-Survives.html
[10] Iran has a positive view on Russia’s “step-by-step” plan, Tehran
Times, 17 agosto 2011, http://tehrantimes.com/index.php/politics/1724-iran-has-a-positive-view-on-russias-step-by-step-plan-salehi.
No comments:
Post a Comment