Se c’è un dato delle vicende internazionali che
deve allarmarci è l’inesorabile declino dell’America. Sono ormai anni, se non
decenni, che i politologi si sbizzarriscono a formulare scenari che vedono il
progressivo indebolimento dell’America, la cui perdita di potere relativo
consente l’inevitabile ascesa di altri Stati nella scena internazionale.
Le modalità che hanno condotto all’intervento
occidentale in Libia testimoniano ineluttabilmente questa tendenza, anzi per
certi versi l’accelerano. Sia chiaro, l’America è ancora la più grande potenza
al mondo almeno in termini economici e militari. Ma il ruolo giocato dagli
Stati Uniti in queste settimane è a dir poco imbarazzante. Dal Segretario di
Stato della più grande potenza al mondo non ti aspetti che giustifichi la
scelta di non intervenire, accontentandosi della proclamazione di una no fly
zone, adducendo il peso negativo dell’eredità acquisita in seguito alle
campagne (piuttosto disastrose) di Iraq e Afghanistan. In realtà, dalla più
grande potenza mondiale non ti aspetti proprio che si defili.
Gli Stati Uniti, dopo un decennio di politica
estera dissennata sotto la guida dell’improvvido George W. Bush, sembrano aver
invertito la rotta commettendo l’errore opposto, cioè peccando di inazione.
L’Amministrazione Obama ha dato prova finora di non essere totalmente
all’altezza delle sfide che provengono dal sistema internazionale. In realtà
l’indecisione mostrata da Obama è un puro atto di volontà politica, indice di
una strategia di disimpegno dalle vicende internazionali. La scelta di non annullare le visite in Brasile, Cile ed El Salvador, teatri assolutamente remoti rispetto a quello caldo
mediterraneo, spiega tutto.
Il protagonista assoluto della vicenda in
questione è il Presidente francese Sarkozy, in cerca di un consenso interno che
è riuscito peraltro ad ottenere. Ma gli è stato volutamente lasciato un enorme
margine di manovra. Gli è stata concessa su un piatto d’argento la possibilità
di colmare l’inspiegabile vuoto politico lasciato dall’America. Non bisogna
affatto cadere nella trappola di confondere la prudenza (principio guida
del realismo politico) con un vero e proprio atto di abbandono (il principio
guida della politica estera USA fino alla Seconda Guerra Mondiale:
l’isolazionismo di jeffersoniana memoria). Non sto dicendo che l’America
avrebbe dovuto impegnarsi in una nuova guerra. Sto semplicemente affermando che
avrebbe dovuto recitare un ruolo politico all’altezza della sua potenza. Anche
impedendo a Sarkozy una così avventata iniziativa.
La scelta del disimpegno non può che favorire
Paesi come la Russia o la Cina che hanno una proiezione globale degli interessi
e sono intenzionati a delegittimare il ruolo politico dell’America. La Russia
ha visto addirittura uno scontro interno al Cremlino fra il PresidenteMedvedev e il Premier Putin con quest’ultimo che non ha perso
tempo per condannare il carattere medievale della Risoluzione 1973.
E noi europei? L’intervento in Libia mostra la
netta spaccatura fra i Paesi del vecchio Continente e celebra il funerale di un
progetto politico che in realtà non è mai nato. Al declino americano non fa da
contraltare un’unione politica europea, tutt’altro: quell’asse franco-tedesco –
lo storico motore dell’unità europea – la cui solidità aveva retto persino sul
tema della guerra in Iraq, si è clamorosamente spezzato oggi su tale vicenda.
Paradossalmente, il sistema internazionale degli
Stati era più sicuro durante lo scorso decennio. Politicamente, il mondo
attuale è ormai multipolare. E, di conseguenza, assai più pericoloso.
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