Quanto seriamente occorre prendere
in considerazione le recenti minacce da parte israeliana di attaccare
militarmente l’Iran, colpendo i suoi siti nucleari? Siamo davvero sull’orlo
della terza guerra mondiale, come alcune voci cominciano ad insinuare? Per la
verità, la retorica dei governanti dei due paesi, che ha sempre assunto toni
elevati – dalla Rivoluzione del 1979, si intende – ha più di una volta lasciato
presagire uno scontro militare che tuttavia non è mai esploso. Un conflitto
armato fra Israele ed Iran è sempre stato nell’aria negli ultimi anni,
soprattutto in seguito al giorno 11 settembre 2001, quando alcune teorie in
voga negli ambienti del Washington
consensus hanno fatto di tutto l’Islam un fascio, confondendo malamente lo
sciismo col sunnismo, ma soprattutto il jihad
globale con un islamismo di Stato il cui risentimento verso l’Occidente altro
non era che la manifestazione più infuocata di una vieppiù pragmatica volontà
di emanciparsi da un isolamento economico e politico soffocante.
Sappiamo com’è andata ed il
penultimo libro di Trita Parsi, Treacherous
alliance[1],
ce lo spiega assai bene. Tehran aveva tentato a più riprese di instaurare un
dialogo con Washington sforzandosi di volgere a proprio favore l’atout rappresentato dalla ricostruzione
in Afghanistan, in seguito all’invasione militare atlantica dell’autunno 2001.
All’epoca, a guidare l’esecutivo c’era ancora, al suo secondo mandato, il
riformista Khatami, ovvero l’uomo che più di tutti aveva lanciato segnali di
distensione all’America, orientando il discorso politico internazionale al
«dialogo fra civiltà». Niente da fare. Gli Stati Uniti erano sembrati troppo
scossi dalla più grande tragedia che la televisione avesse mai documentato in
diretta e l’Amministrazione Bush, come testimoniato dai politologi americani
John Mearsheimer e Stephen Walt[2],
risultava eccessivamente influenzata da un gruppo di neoconservatori oltremodo
vicini agli imperativi della sicurezza nazionale di Israele. Addirittura,
puntare contro l’Iran, invece che contro l’Iraq di Saddam, era inizialmente
nelle intenzioni di Gerusalemme.
Un nuovo ciclo di propaganda
anti-iraniana e favorevole ad un attacco militare si ripropose nel 2005
allorché l’attuale Presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad vinceva le
elezioni, annunciava le ambizioni egemoniche dell’Iran fondandole sulla volontà
di riattivare il ciclo nucleare e legava tali proclami a continui appelli alla
distruzione dello Stato di Israele. Ma anche quella volta, invece di colpire
direttamente l’Iran, Israele finì per concentrarsi su un altro teatro, quello
libanese, sferrando nell’estate del 2006 un attacco a Hezbollah, avamposto del
regime degli Ayatollah nel paese dei cedri.
Che cosa è cambiato rispetto a
cinque-dieci anni fa? Che cosa spinge oggi Israele, in una maniera che appare
più assertiva rispetto al passato, a dichiararsi disponibile per un attacco
militare? Nella giornata di ieri, l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia
Atomica) ha pubblicato un resoconto sullo stato di avanzamento del programma
nucleare iraniano, della cui natura bellicosa molti si aspettavano la conferma.
Dal canto loro, le autorità politiche di Tehran, in primis il Ministro degli Esteri Ali Akbar Salehi, fanno bene il
loro mestiere e non si stancano di dichiarare la natura pacifica del programma.
Nel rapporto, il regime degli Ayatollah è accusato di realizzare ordigni
nucleari con la complicità della Russia. L’Iran avanza effettivamente la
necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico allo scopo
di alleggerire la dipendenza da quella risorsa di cui vive di rendita, il
petrolio. Per questa ragione ha intensificato le relazioni proprio con la
Russia, con cui la collaborazione alla realizzazione di una centrale nucleare
era stata avviata già durante gli anni Novanta.
Orbene, l’aspetto che oggi segna un
passaggio fondamentale rispetto allo scenario dello scorso decennio è
nientemeno che la cosiddetta «primavera araba». Al di là del fatto che, come
molti hanno osservato, la situazione che si sta delineando in diversi paesi
dovrebbe indurre una maggiore prudenza quanto alle diagnosi politiche, il punto
sostanziale sta nel radicale cambiamento degli equilibri regionali e,
conseguentemente, dei rapporti fra quei paesi attraversati dagli sconvolgimenti
interni e lo Stato di Israele. La questione riguarda innanzitutto l’Egitto, il
principale (se non l’unico, o quasi) partner arabo del governo di Gerusalemme
in Medio Oriente. E’ evidente che il crollo di un regime suo alleato fin dal
1979 preoccupi notevolmente il governo israeliano, soprattutto considerando la
possibilità che forze islamiste ostili a Israele prendano, com’è plausibile
aspettarsi, il potere.
Probabilmente anche per tale ragione si spiega
l’apparentemente incomprensibile accordo raggiunto dall’esecutivo di Netanyahu
con Hamas, per il tramite fondamentale dell’Egitto, legato al rilascio di oltre
mille detenuti palestinesi in cambio di un solo soldato israeliano, quel
caporale di nome Gilad Shalit catturato dal movimento di resistenza islamica
dopo le elezioni vittoriose del 25 gennaio 2006. Una liberazione che,
ufficializzata lo scorso 18 ottobre, si attendeva da oltre cinque anni, era già
stata cercata più di una volta e arriva con insolita puntualità in uno stadio
delicatissimo dei rapporti fra Israele, Stati Uniti ed Iran. Uno scambio di
cui, malgrado gli imperativi dettati dalla Ragion di Stato, è semplice notare
la sproporzione. Uno scambio che, al contrario, proprio per via delle esigenze
imposte dagli arcana imperii, si è
reso necessario nella fase attuale per allentare la tensione anche con
l’Egitto, in vista di un futuro incerto.
Inoltre, per quanto concerne i
rapporti fra Gerusalemme, Washington e Tehran, non va dimenticata una notizia
che aveva generato clamore pressappoco un mese fa: il presunto complotto ordito
dalle forze Quds iraniane per
assassinare l’ambasciatore saudita a Washington. Un’operazione che aveva
immediatamente destato i sospetti di molti analisti e commentatori[3],
sia per le modalità di organizzazione, sia per il contesto di grave crisi
interna che il regime iraniano sta vivendo da un anno a questa parte, con un
Ahmadinejad sempre più osteggiato dall’establishment
conservatore guidato dal faqih Ali
Khamenei. La sindrome dell’isolamento e la paura di rimanere preda di nefaste
circostanze regionali ha fatto suonare il campanello d’allarme per gli uomini
di Gerusalemme. Ecco come una serie di fattori esterni, ambientali (regionali
e/o internazionali) possono ripercuotersi sulle considerazioni di politica
estera elaborate da uno Stato sovrano.
Negli scorsi giorni, un fine
analista liberale come Fareed Zakaria ha dichiarato che la soluzione in mano ad
Obama, pur riconoscendo alcune difficoltà, è semplicemente quella di
intensificare il dialogo con l’Iran attraverso il raggiungimento di accordi in
campi di interesse comune, quali possono essere la questione nucleare o il
futuro afghano[4]. Più
realista sembra essere Trita Parsi, il quale avverte che le minacce israeliane
di ricorrere all’uso della forza non sono una novità, e che tuttavia non vanno
sottovalutate. Due elementi contingenti – avverte Parsi – segnano infatti una
discontinuità rispetto al passato: Obama teme che in campagna elettorale i
repubblicani possano usare la questione israeliana contro di lui; se l’Iran si
dotasse dell’arma nucleare, le sanzioni e l’azione militare non sarebbero più
due opzioni alternative, ma diverrebbero complementari ed entrambe necessarie[5].
Ad essere contrari all’intervento
militare, oltre all’Iran, vi sono anche paesi quali Russia, Cina e Turchia. E’
importante segnalare queste posizioni, dal momento che le autorità israeliane
dovranno valutare nei minimi dettagli l’opportunità di intraprendere un
conflitto. Si tratta di paesi confinanti (o quasi) con l’Iran e che
intrattengono solidi rapporti economici, soprattutto nel campo dell’energia.
Tutti e tre soni sono sempre dichiarati contrari ad un Iran nucleare, per il
pericolo evidente di proliferazione regionale che ne deriverebbe, ma non si
sono mai sottratti a promuovere quell’iniziativa diplomatica che, su questo
versante, è sempre stata carente da parte di Stati Uniti e Israele. La Russia
stessa, in particolare, ha esplicitamente affermato che un attacco sarebbe un
«errore molto grave»[6]. La
cooperazione nel settore energetico fra Mosca e Tehran è ormai consolidata, con
l’attivazione dell’impianto nucleare di Bushehr avvenuta due mesi fa. Al
progetto di avviamento della centrale iraniana, che in condizioni di completa
efficienza sarà capace di generare mille megawatt di elettricità, la Russia e
l’Iran hanno lavorato sin dal 1995 e oggi vi lavorano circa 1.500 cittadini
russi[7].
La Russia è convinta che negoziare con l’Iran sulla questione nucleare è
l’unico modo per ammansire i governanti a Tehran e per ottenere trasparenza. A
questo scopo, nella scorsa estate è stata lanciata la cosiddetta cooperazione step-by step che consente un più
continuo controllo delle attività nucleari iraniane attraverso la possibilità
di mantenere aperto un canale di dialogo in cambio di un alleggerimento delle
sanzioni[8].
Una linea intrapresa dai Ministri degli Esteri Sergej Lavrov e Ali Akbar
Salehi, che ha pienamente convinto le autorità politiche dei due paesi.
Se questo è il quadro della
situazione, un intervento armato da parte israeliana è altamente sconsigliato.
Gli Stati Uniti probabilmente non hanno la forza per poter sostenere un
ennesimo impegno militare – e della tendenza a ritirarsi dagli affari mondiali,
stando dietro le quinte, rifiutando un impegno diretto e mandando in avanscoperta
i propri partner hanno dato prova in occasione della vicenda libica. Colpire
gli impianti nucleari iraniani vuol dire dichiarare guerra anche alla Russia e
provocare il risentimento di potenze emergenti quali Cina e Turchia.
Quest’ultima, con cui Israele sta esperendo frizioni già da quasi un anno e
mezzo, sembra assai interessata al mantenimento dello status quo da cui può trarre beneficio in vista dell’assunzione di
un ruolo di egemonia regionale fondato sul soft
power e sul principio «zero problemi con i vicini». In politica
internazionale vale l’assunto realista secondo cui non si può mai essere certi
delle intenzioni altrui. Questo criterio vale soprattutto nelle relazioni fra
Iran e Israele – un paese, quest’ultimo, guidato da un approccio troppo
ideologizzato nella valutazione dei rischi connessi alla sicurezza nazionale –
che non ha mai saputo valutare pragmaticamente la politica estera iraniana.
Anche se è assai probabile che le minacce di Israele siano volte, più che
altro, a fare pressioni sull’Occidente affinché inasprisca le sanzioni contro
il regime di Tehran, è lecito attendersi di tutto.
[1] Trita Parsi, Treacherous alliance. The secret dealings of Israel, Iran and the U.S., Yale University Press, 2007
[2] John Mearsheimer, Stephen Walt, The Israel lobby and U.S. foreign policy, Farrar, Straus and Giroux, 2007.
[3] Si vedano, ad esempio, Reza Marashi and Trita Parsi, The "Come To Jesus" Moment In US-Iran Relations, Huffington Post, 14 ottobre 2011, reperibile al sito web http://www.huffingtonpost.com/reza-marashi/the-come-to-jesus-moment-_b_1006804.html e Robert Tait, Iran Assassination Plot Raises Questions, Payvand.com, 13 ottobre 2011, reperibile al sito web http://www.payvand.com/news/11/oct/1135.html.
[4] Fareed Zakaria, To deal with Iran’s nuclear future, go back to 2008, Washington Post, 28 ottobre 2011, reperibile all’indirizzo web: http://www.washingtonpost.com/opinions/to-deal-with-irans-nuclear-future-go-back-to-2008/2011/10/26/gIQADQyEKM_story.html.
[5] Trita Parsi, Is Netanyahu bluffing once again?, 4 novembre 2011, tratto da: http://globalpublicsquare.blogs.cnn.com/2011/11/04/is-netanyahu-bluffing-once-again/.
[6] Russia says strike on Iran 'very serious mistake', Hurriyet Daily News, 7 novembre 2011, reperibile al sito: http://www.hurriyetdailynews.com/n.php?n=russia-says-strike-on-iran-very-serious-mistake-2011-11-07.
[7] John Daly, Iranian Busherh nuclear plant comes online, http://oilprice.com/GeoPolitics/Middle-East/Iranian-Bushehr-Nuclear-Plant-Comes-Online-World-Survives.html.
[8] Iran has a positive view on Russia’s ‘step-by-step’ plan, Tehran Times, 17 agosto 2011, consultabile sul web alla pagina http://tehrantimes.com/index.php/politics/1724-iran-has-a-positive-view-on-russias-step-by-step-plan-salehi.
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