(commento già apparso sul sito dell'OPI - Osservatorio di politica internazionale e disponibile al seguente link: http://www.bloglobal.net/2016/04/le-prospettive-politiche-del-nuovo-vecchio-iran.html).
Le recenti consultazioni elettorali valide sia per il rinnovo del Majlis (Parlamento) iraniano sia per l’Assemblea degli Esperti hanno visto l’affermazione dei candidati facenti parte del blocco politico legato al Presidente Rohani. Emblema della vittoria è stata la constituency della capitale Tehran in cui la fazione riformista-moderata ha conquistato tutti e 30 i seggi disponibili per il Parlamento (che elegge 290 rappresentanti su tutto il territorio nazionale) e ben 15 membri su 16 all’Assemblea degli Esperti, fra cui i primi due della lista riformista, l’ex Presidente Rafsanjani. uno dei principali businessmen del Paese, e il medesimo Presidente Rohani[1].
Le recenti consultazioni elettorali valide sia per il rinnovo del Majlis (Parlamento) iraniano sia per l’Assemblea degli Esperti hanno visto l’affermazione dei candidati facenti parte del blocco politico legato al Presidente Rohani. Emblema della vittoria è stata la constituency della capitale Tehran in cui la fazione riformista-moderata ha conquistato tutti e 30 i seggi disponibili per il Parlamento (che elegge 290 rappresentanti su tutto il territorio nazionale) e ben 15 membri su 16 all’Assemblea degli Esperti, fra cui i primi due della lista riformista, l’ex Presidente Rafsanjani. uno dei principali businessmen del Paese, e il medesimo Presidente Rohani[1].
Le consultazioni sono ufficialmente
le prime in seguito alla parziale rimozione del regime di sanzioni
internazionali seguite allo storico accordo sulla questione nucleare raggiunto
la scorsa estate. Un’intesa fortemente voluta dal Presidente Rohani e
largamente avvertita da tutto il Paese, stremato da anni di chiusura e gravato
da una crescita inesistente a fronte delle enormi potenzialità offerte dalla
giovane società iraniana. Al punto da spingere alcuni analisti a ritenere che
il momento elettorale in Iran non sia semplicemente uno strumento che il potere
clericale usa a proprio piacimento – e, se serve, per vestire il regime di
un’aurea democratica – ma costituisca realmente quel dispositivo istituzionale
nelle mani dei cittadini affinché «le cose cambino»[2].
L’intesa sul nucleare, in altre parole, ha dato speranza al popolo iraniano; è
così che la volontà di cambiamento ben rappresentata da Rohani e dalla fazione
politica raccolta attorno a lui, è stata premiata. Gli sconfitti, gli hard-liners, hanno perso proprio perché
si erano opposti a quell’accordo che dovrebbe dare sollievo all’economia
iraniana, offrendo maggiori aperture economiche e, si spera, politiche.
Tuttavia, ad un esame più accurato,
il risultato conseguito dalla fazione riformista, al netto dei 68 seggi del Majlis ancora da assegnare tramite un
ulteriore turno di ballottaggio che si terrà il 29 aprile, va inscritto in una
cornice più ampia, legata alla peculiare architettura istituzionale iraniana,
che lascia spazio ad interpretazioni alternative. Occorre notare infatti che
gli elementi tipici della democrazia quali sono le consultazioni elettorali e
un Parlamento sovrano scontano un pesante difetto connesso alla presenza di
organi a legittimazione religiosa che, vigilando rigorosamente ed intervenendo
sensibilmente sulle procedure istituzionali, sono in grado di determinare esiti
non strettamente conformi ai dettami della democrazia liberale. Il Consiglio
dei Guardiani, ad esempio, è organo deputato ad effettuare una stringente
selezione dei candidati che si presentano alle elezioni. Come sempre accade,
anche questa volta la fazione moderata-riformista si è lamentata dei numerosi
veti espressi dal Consiglio sui propri candidati. Risulta evidente, pertanto,
come le procedure democratiche, pur presenti in Iran, siano costantemente
sottoposte ad una sorta di setaccio religioso con il quale il regime tenta,
accuratamente, di riprodursi, scartando di volta in volta gli elementi ritenuti
pericolosi per la sopravvivenza dello stesso.
Come autorevolmente fatto notare
anche dalle colonne del New York Times, stabilire chi, fra la fazione
riformista e gli hard-liners, abbia
effettivamente vinto è un’impresa ardua, a causa della notevole fluidità
dell’appartenenza politica dei candidati: «un famoso politico, per esempio, Ali
Motahhari, si è piazzato secondo a Tehran nella lista collegata ai sostenitori
del Governo. Ma quando sarà ora di discutere di temi sociali quali il velo
islamico obbligatorio per le donne, lui probabilmente si siederà fra gli hard-liners»[3].
Lo stesso Rafsanjiani, da sempre espressione di quella fazione sensibile alle
aperture economiche ma socialmente e politicamente conservatore, rappresenta
niente più che il miglior compromesso politico fra chi difende ad oltranza
l’ordine costituito e chi invece invoca le riforme in campo politico, sociale
ed economico che potrebbero aprire ad una transizione verso la democrazia[4].
L’ex presidente, da sempre sostenitore di una linea pragmatica in politica
estera, funzionale alla vitalità economica del Paese non ha mai mostrato grosso
interesse per questioni quali la democrazia politica o il rispetto dei diritti
umani.
Uno dei rischi che corre l’Iran è
che all’apertura economica del Paese possa non corrispondere affatto
quell’apertura politica che la società iraniana chiede da tempo. Dal punto di
vista della qualità democratica, questo aspetto favorisce l’emersione di un gap incolmabile fra possibile riuscita
dell’apertura economica ai mercati internazionali e mancato approfondimento
della dimensione politica e sociale, deficit
che impedisce agli scienziati politici di parlare compiutamente di «transizione
alla democrazia». Nella società mancano effettivamente quei corpi intermedi
fondamentali allo sviluppo di una democrazia di qualità: alle elezioni non si
presentano partiti strutturati come quelli conosciuti dalle grandi democrazie
di massa occidentali nello scorso secolo, bensì liste create ad hoc per l’occasione o, comunque,
espressione, di poteri forti non sottoposti a forme istituzionalizzate di
controllo dal basso (la cosiddetta accountability
sociale). Causa e, al contempo, conseguenza di questa situazione è stata la
progressiva ascesa dei Guardiani della Rivoluzione (Pasdaran) che ormai da un ventennio stanno progressivamente
occupando le posizioni chiave all’interno della struttura politica, economica e
istituzionale del Paese.
Nati come corpo paramilitare allo
scopo di difendere i valori della rivoluzione khomeinista contro qualsivoglia
minaccia interna o esterna al regime, a partire dagli anni Novanta i Pasdaran –
incoraggiati fortemente proprio dalla Presidenza Rafsanjiani – si sono
impadroniti delle attività economiche essenziali del Paese (costruzioni,
ingegneria, armi, cultura, energia), controllandole direttamente o appaltandole
a società ad essi collegate[5].
In campo petrolifero, tramite la potente società Khatam al-Anbia («sigillo del
Profeta», conosciuta anche come GHORB) i Guardiani della Rivoluzione gestiscono
direttamente, in concorrenza con altre società straniere, le fasi di estrazione
nel sito di South Pars, il più grande del Paese. Fino a quando era in vigore,
il regime delle sanzioni fungeva da meccanismo che avvantaggiava enormemente i
Pasdaran, i quali potevano concentrare ancor più nelle loro mani le attività
economiche che, viceversa, altre imprese facevano fatica a tenere in piedi.
Pertanto, nella nuova situazione venutasi a creare con l’apertura ai mercati
internazionali determinata dall’alleggerimento delle sanzioni è plausibile
attendersi che i Pasdaran aumentino il loro già pervasivo potere.
A distanza di tre anni dalle
elezioni presidenziali, il consolidamento dell’influenza politica della
coalizione conservatrice-moderata-riformista a scapito degli hard-liners va quindi inserita nel
contesto di ascesa dei Pasdaran. Va tenuto presente che, come affermato da
Frederic Wehrey, citato dal Council of Foreign relations, «i Pasdaran godono di
una constituency in certe aree
dell’Iran, specialmente nelle zone rurali dove i progetti infrastrutturali
finanziati dai Guardiani e l’impego nelle milizie paramilitari Basiji può
garantire ai Guardiani un grado di sostegno più alto di quanto immaginiamo»[6].
Non è da escludere che stiamo progressivamente assistendo ad un ricambio
generazionale nell’establishment
iraniano. I vecchi chierici, che all’epoca della Rivoluzione avevano 35-40-45
anni, ora sono quasi tutti ultraottantenni. La generazione di Pasdaran,
imbevuti anch’essi di retorica khomeinista, ma membri di un corpo che è
paramilitare, sono invece uomini di 50-60 anni. Il regime clericale e
teocratico fondato da Khomeini quasi 40 anni fa sta via via assumendo i tratti
di un pretorianesimo; e, come tutti, i regimi militari, provvede direttamente
alla gestione delle principali attività economiche del paese, creando clientele
e ottenendo legittimità in cambio[7].
La partita politica che si giocherà
in Iran nei prossimi anni dipenderà ancora una volta dall’aspro fazionalismo
che da sempre ne costituisce il tratto essenziale. La fiducia assegnata alla
coalizione moderata-riformista è indice del gradimento con cui sono stati
accolti gli sforzi profusi dall’Amministrazione Rohani nell’addivenire ad un
accordo con l’Occidente sulla questione nucleare. Ma la vera sfida per la
giovane società iraniana sarà quella di prendere consapevolezza di sé e,
beneficiando dei vantaggi economici derivanti dalle nuove possibilità svelate
dall’intesa sul nucleare, di sapersi strutturare a livello politico attorno a
nuovi poli che possano rappresentare un’alternativa ai centri del potere, per
lo più clericali, che finora hanno gestito la cosa pubblica in Iran. A questo
fine, sarà chiaramente decisivo il ruolo svolto dai Pasdaran, i quali,
tuttavia, se riusciranno nel frattempo a sostituirsi al clero, difficilmente
saranno proni a lasciare spazio a nuovi attori sociali.
[1] Iran: Assembly of experts selection results show strong backing for
moderates, http://www.payvand.com/news/16/feb/1154.html;
Rohani, reformist allies make gais against
conservatove rivals in elections, http://www.payvand.com/news/16/feb/1152.html.
[2] Max Fisher, How the nuclear deal boosted Iran’s
moderates – and showed Iranian elections can matter, http://www.vox.com/2016/3/2/11147102/iran-election-moderates-nuclear-deal,
Ishaan Tharoor, Iranians took part in
elections. Guess what: their votes mattered, https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2016/03/01/iranians-took-part-in-an-election-guess-what-their-votes-mattered/.
Cfr. anche Moderates dominate council of
clerics in Iran elections, 29 febbraio 2016, http://www.aljazeera.com/news/2016/02/moderates-dominate-council-clerics-iran-elections-160229091044340.html.
[3] Thomas Erdbrink, Doubts rise in Iran about conclusive
elections results, 2 marzo 2016, http://www.nytimes.com/2016/03/03/world/middleeast/iran-elections.html?_r=1.
[4] Mohammad Ayatollahi Tabaar,
Why the triumph of moderates is a setback
to iranian democracy, 9 marzo 2016, https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2016/03/09/why-the-triumph-of-moderates-is-a-setback-to-iranian-democracy/.
[5] AA.VV., The rise of Pasdaran. Assessing the domestic
roles of Iran’s Islamic revolutionary Guars corps, RAND Corporation, 2009;
Ali Alfoneh, How intertwined are the
Revolutionary Guards in Iran’s economy, American Enterprise Institute for
Public Policy Research, N. 3, Ottobre 2007.
[6] Greg Bruno, Jayshree
Bajoria and Jonathan Masters, Deputy Editor, Iran’s Revolutionary Guards, CRF Backgrounds, 14 giugno 2013, http://www.cfr.org/iran/irans-revolutionary-guards/p14324.
[7] Elliot Hen-Tov and Nathan
Gonzalez, The Militarization of Post-Khomeini Iran: Praetorianism 2.0,
The Washington Quarterly, Winter 2011, pp. 45-59.
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