(commento già apparso sul sito dell'OPI - Osservatorio di politica internazionale e disponibile al seguente link: http://www.bloglobal.net/2015/10/la-rinnovata-rivalita-politica-fra-iran-e-turchia-nel-medio-oriente-divenire.html)
Rivalità sul piano ideologico-politico e cooperazione nel settore energetico sono stati due fra i principali tratti caratterizzanti delle relazioni fra Iran e Turchia, almeno nell’ultimo trentennio. Ad un Iran proteso verso quelle aree del Medio Oriente abitate per lo più da popolazioni aderenti alla variante sciita della religione islamica si è contrapposta una Turchia più incline a mantenere l’alleanza storica con la Nato senza per questo recidere i rapporti con i gruppi sunniti e le minoranze turcofone della regione. Con l’avvento al potere ad Ankara del gruppo politico filo-islamico dell’AK Parti agli inizi dello scorso decennio, una visione geopolitica neo-ottomana (che puntava a stringere maggiormente i legami con il mondo islamico) ha informato la nuova strategia turca in Medio Oriente, inasprendo, sempre dal punto di vista ideologico-politico, quelle differenze con Tehran tuttora presenti. Il teatro iracheno è stato l’emblema della competizione geopolitica fra le due potenze regionali fin dalla guerra del 2003.
Rivalità sul piano ideologico-politico e cooperazione nel settore energetico sono stati due fra i principali tratti caratterizzanti delle relazioni fra Iran e Turchia, almeno nell’ultimo trentennio. Ad un Iran proteso verso quelle aree del Medio Oriente abitate per lo più da popolazioni aderenti alla variante sciita della religione islamica si è contrapposta una Turchia più incline a mantenere l’alleanza storica con la Nato senza per questo recidere i rapporti con i gruppi sunniti e le minoranze turcofone della regione. Con l’avvento al potere ad Ankara del gruppo politico filo-islamico dell’AK Parti agli inizi dello scorso decennio, una visione geopolitica neo-ottomana (che puntava a stringere maggiormente i legami con il mondo islamico) ha informato la nuova strategia turca in Medio Oriente, inasprendo, sempre dal punto di vista ideologico-politico, quelle differenze con Tehran tuttora presenti. Il teatro iracheno è stato l’emblema della competizione geopolitica fra le due potenze regionali fin dalla guerra del 2003.
Nonostante le asperità strutturali, la storica intesa
sul nucleare iraniano nel luglio di quest’anno è stata salutata con estremo
favore dalle autorità turche che, come emerge dalle dichiarazioni ufficiali,
hanno sottolineato i benefici che un tale accordo può generare nelle relazioni
bilaterali con lo stato persiano[1].
Effettivamente, dal punto di vista economico, con il progressivo alleggerimento
delle sanzioni, ci si attende che il livello di interscambio commerciale, che
tuttora si assesta a 10 miliardi di dollari, non faccia altro che aumentare
fino a triplicare[2].
Ma preme osservare che gli aspetti puramente economici della questione non sono
sufficienti a confermare le percezioni che emergono dalle dichiarazioni
ufficiali dei decisori turchi. Elementi di preoccupazione riguardano il nuovo
status politico che l’Iran potrebbe conseguire nella regione. Se da un lato è
utile notare che un siffatto accordo non modifica improvvisamente i rapporti
fra Iran e mondo occidentale (Stati uniti in
primis), dall’altro va registrato che diversi Paesi arabi (Arabia Saudita
in testa) che nutrono svariati interessi nella regione hanno manifestato una
certa apprensione. In altre parole, se il raggiungimento di questa importante
intesa non implica che si sia già creato automaticamente un vero e proprio
meccanismo di fiducia fra Tehran e Washington – anzi, occorre che nel tempo
l’Iran dimostri di voler ottemperare a tutti gli obblighi contratti affinché si
imponga un meccanismo di confidence-building
che preluda ad una istituzionalizzazione dei rapporti – è lecito attendersi che i paesi
arabi così come la Turchia possano esibire in futuro un atteggiamento di inquietudine rispetto al nuovo ruolo geopolitico che l’Iran può assumere nelle dispute regionali.
Non si può negare che, in effetti, l’intesa sul
nucleare, dopo anni di stallo in cui da più parti l’Iran era stato descritto
come la principale minaccia agli equilibri e alla sicurezza in Medio Oriente,
rappresenti il viatico migliore di cui Tehran si può servire per uscire
dall’isolamento internazionale che soffoca le possibilità di crescita della sua
economia e per assumere uno status di potenza legittimata ad avere voce in
capitolo sulle questioni più rilevanti nella regione; una situazione che può
minare non solo la già precaria posizione di Israele, ma anche quella
dell’Arabia Saudita e, in special modo, della Turchia. E’ un’ipotesi fortemente
corroborata dall’escalation degli
eventi degli ultimi mesi quella secondo cui il gruppo dei 5+1 (i membri con
potere di veto al Consiglio di Sicurezza, più la Germania), ed in particolar
modo gli Stati Uniti, abbiano valutato come il raggiungimento dell’accordo sul
nucleare fosse ormai una necessità impellente di fronte all’offensiva dello
stato islamico: si era giunti ad un punto tale per cui non si poteva più tenere
lontano dalla cooperazione su questo fronte un attore importante come l’Iran
che conserva, peraltro, una forte influenza sui governi e, di riflesso, sulle
politiche estere dei due principali Paesi vittime delle conquiste del
califfato, l’Iraq e la Siria.
In realtà, se conviene considerare l’avanzata dell’Isis
un fattore rilevante che ha condotto le potenze mondiali a trovare la formula
per un accordo finale sul nucleare, giova precisare che proprio lo stato
islamico rappresenta una questione su cui i punti di vista dell’Iran e della
Turchia divergono fortemente. Com’è noto, mentre l’Iran spalleggia il governo
di Damasco, a cui lo lega un’alleanza strategica di lunga data[3],
la Turchia ha cominciato a sostenere i diversi gruppi di opposizione al regime
già qualche mese dopo l’avvio della repressione da parte di Assad nel 2011,
ospitandone alcuni (ad esempio l’Esercito libero siriano e il Consiglio nazionale
siriano) anche sul proprio suolo e foraggiandone l’attività. Recentemente,
mentre il primo ministro turco Davutoglu ha dichiarato che Ankara auspica la
rimozione di Assad dal potere, il Presidente iraniano Rouhani ha invece
ribadito che l’eventuale indebolimento di Assad sarebbe un errore gravissimo[4].
Le divergenze sulla questione siriana rispecchiano in maniera limpida la
difformità di vedute fra gli Stati Uniti che finora hanno tentennato nel
prendere una posizione netta sulla questione e la Russia, che ufficialmente
sostiene il regime di Damasco per via dei forti interessi strategici e militari
che nutre nel Paese.
E’ facile ipotizzare, pertanto, come gli sviluppi della
questione siriana rappresentino la ragione di fondo per la quale Ankara teme, nell’ottica
della salvaguardia della propria posizione regionale, le conseguenze geopolitiche ingenerate
dall’accordo sul nucleare[5].
Un accordo che aumenta la frustrazione turca sia perché un’intesa analoga,
raggiunta con la partecipazione anche del Brasile nel maggio 2010, era stata
rigettata dagli Stati Uniti, venendo così accantonata, sia in ragione della
percezione di un ormai incombente isolamento (la Turchia è di fatto stata messa
in secondo piano nelle trattative che hanno condotto all’accordo finale di
luglio). Inoltre, una sorta di alleanza tattica ufficialmente in funzione
anti-Isis e pro-Assad è stata messa in piedi negli ultimi giorni da Putin che,
col sostegno dell’Iran (con cui esistono comprovati buoni rapporti a tutti i
livelli) e degli Hezbollah libanesi mira a proteggere i propri interessi in
Siria e sul Mar Nero. La Turchia in questi anni è sempre stata restia ad
intervenire contro Assad, poiché nel magma della guerra civile era fondamentale
evitare di sobillare la perdurante resistenza dell’indipendentismo curdo e
delle sue appendici armate[6].
Proprio allo scopo di contrastare il terrorismo curdo del PKK, la Turchia, con
gli Accordi di Adana del 1998, aveva avviato una forte relazione con la Siria
che ha portato i due Paesi ad un alto livello di integrazione e di intesa
politica ed economica fino alla crisi del 2011.
Dopo anni di isolamento
internazionale, l’avanzata dell’Isis e le conseguenze della crisi siriana hanno
di fatto rovesciato i fattori dell’equazione geopolitica mediorientale. L’Iran
sembra capitalizzare al massimo gli effetti dell’accordo sul nucleare, mentre
la Turchia ormai da tempo sperimenta il visibile fallimento del principio che
aveva informato la sua politica estera durante quasi tutto lo scorso decennio,
la zero-problems foreign policy with
neighbors formulata dall’allora Ministro degli Esteri Davutoglu. Con la
decisione di prendere l’iniziativa militare in Siria, la Russia si candida a
ribadire la propria influenza in Medio Oriente, lanciando agli Stati Uniti la
propria sfida a livello globale. Inoltre, Mosca lancia il proprio segnale di
avvertimento proprio a Washington: la necessaria cooperazione russa nel teatro
siriano impedisce di fatto agli americani di limitare efficacemente la politica
russa in Ucraina[7]. A livello
regionale, mentre è lecito attendersi che Tehran e Ankara continueranno a
nutrire buone relazioni economiche, a livello politico ingaggeranno una
notevole competizione tale per cui l’Iran non potrà che beneficiare della
situazione in fieri per riemergere
quale potenza regionale, mentre la Turchia di Erdogan dovrà seriamente rivedere
la propria linea di politica estera se non vuole sperperare quel minimo di
consenso di cui ancora può godere nel mondo islamico dopo un decennio di
fulgore sotto la guida dell’AK Parti.
[1] Erdogan speaks with Iran’s Rouhani, welcomes nuclear deal, 17
luglio 2015, http://www.todayszaman.com/anasayfa_erdogan-speaks-with-irans-rouhani-welcomes-nuclear-deal_393928.html.
[2] Cengiz Candar, How Turkey really fells about the Iran deal,
http://www.usnews.com/news/articles/2015/07/21/how-turkey-really-feels-about-the-iran-deal.
[3] A. Ehteshami, R.
Hinnebusch, Syria and Iran. Middle powers
in a penetrated regional system, Routledge, London and New York, 1997
[4] Maurizio Molinari, Intesa sui negoziati di pace in Siria: Usa e
Russia con i Paesi musulmani, http://www.lastampa.it/2015/09/29/esteri/intesa-sui-negoziati-di-pace-in-siria-usa-e-russia-con-i-paesi-musulmani-3k4K3EgTfCF9c8zG4AXFXJ/pagina.html.
[5] Turkey reluctantly welcomes Iran deal, http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2015/04/turkey-welcomes-iran-deal-with-some-resentment.html.
Cfr. anche Iran deal highlights Turkey’s
“precious loneliness”, http://www.hurriyetdailynews.com/iran-deal-highlights-turkeys-precious-loneliness.aspx?PageID=238&NID=85501&NewsCatID=416.
[6] J. Landis, The Syrian uprising of 2011: why the Assad
regime is likely to survive to 2013, Middle East Policy, Vol. XIX, n.1, pp.
72-84.
[7] Cfr. l’interssante tesi di S.
M. Patrick, United Nations, divided
world: Obama, Putin and World order, http://blogs.cfr.org/patrick/2015/09/28/united-nations-divided-world-obama-putin-and-world-order/.
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