(riflessione già pubblicata su Bloglobal.net il 12 maggio e disponibile al link: http://www.bloglobal.net/2015/05/laccordo-sul-nucleare-iraniano-quali-effetti-sulla-politica-estera-russa.html)
Con il raggiungimento di una prima
intesa al termine dei colloqui tenutisi a Losanna fra il 26 marzo e il 2 aprile
pare che finalmente il lento cammino verso la soluzione dell’annosa questione
del nucleare iraniano possa giungere a compimento. Il 24 aprile a Vienna ha
avuto luogo un ulteriore incontro che ha definito la cornice politica entro cui
stabilire l’accordo legale, per il quale occorrerà attendere l’ulteriore step del prossimo 30 giugno. Niente
ancora è certo e lo sviluppo degli eventi negli ultimi anni legati alla vicenda
dovrebbero indurre a mantenere estrema prudenza nel formulare scenari.
Tuttavia, le conseguenze di un tale «storico» avvenimento vengono salutate con
favore da tutti coloro – analisti e policy-maker
– che preconizzano o semplicemente sperano di vedere un rilassamento delle
relazioni bilaterali fra Iran e Stati Uniti (più in generale, della comunità
internazionale), dopo oltre 35 anni di gelo seguite alla Rivoluzione iraniana.
Un ammorbidimento dei rapporti che dovrebbe portare ad includere Tehran fra i
grandi paesi del medio Oriente con cui, una volta ristabilite buone relazioni
diplomatiche fondate sulla reciproca fiducia, sarà possibile trovare soluzione agli
altri gravi problemi che incendiano la regione: dal conflitto
israelo-palestinese al problema del terrorismo, dalle questioni energetiche
all’espansione del califfato targato ISIS. Ma quale ruolo potrà giocare la
Russia in questa partita e di quali benefici potrà godere? Quali scenari
dobbiamo comunque attenderci da un’eventuale buona riuscita dell’accordo?
Rischia di vedere aumentato l’isolamento di cui soffre oppure ci sono spazi per
guadagni comuni? La risposta dipende da una serie di elementi il cui peso
inciderà innanzitutto sui rapporti fra Mosca e l’Occidente.
Fra i Paesi del gruppo «5+1» (i
membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania) che stanno
conducendo le trattative con l’Iran, la Russia è quello che, ormai da almeno
vent’anni, intrattiene il livello di relazioni politiche ed economiche di
maggiore rilievo. Senza spingersi fino a sostenere, come hanno fatto alcuni
analisti[1],
che fra Mosca e Tehran si sia stabilito un legame «strategico», è bene
ricordare che, comunque, fra i due Paesi si è sviluppato un grappolo
significativo di interessi comuni a tal punto da portarli negli ultimi anni a
convergere sempre più su molte questioni, come mostra, ad esempio, il caso
della guerra in Siria – complice anche l’inasprimento dei rispettivi rapporti
col mondo occidentale.
Come gli altri Paesi occidentali,
anche la Russia ha sempre esibito un atteggiamento di prudenza rispetto alla
questione del nucleare iraniano. Se da un lato, si è sempre proclamata
favorevole al diritto da parte iraniana di dotarsi di una capacità energetica
in questo settore a meri fini civili, dall’altro ha sempre manifestato
perplessità riguardo all’ipotesi di tradurla in termini militari. In altre
parole, un Iran capace di produrre energia nucleare per scopi civili, liberando
quelle risorse sul versante petrolifero a cui la Russia avrebbe accesso, è
salutato con favore da Mosca; viceversa, un Iran dotato di armamenti nucleari
rappresenterebbe un pericolo per la sicurezza di tutto il Medio oriente – e,
quindi, per gli stessi interessi russi nella regione[2].
Inoltre, la disponibilità ad accettare un programma nucleare a scopi civili,
rispetto ad altri Paesi più sospettosi quali ad esempio gli Stati Uniti e,
soprattutto Israele, ha portato la Russia ad essere in prima linea conto la
politica delle sanzioni; una linea che ha spinto l’Iran a considerare la Russia
uno dei pochi attori affidabili nelle trattative, se non l’unico. Sciogliere
finalmente il nodo sul nucleare significa non solo che Mosca avrebbe accesso
alla gran quantità di idrocarburi presenti nel Paese dei pistacchi, ma anche
che Tehran vedrebbe realizzata la possibilità di diversificare le proprie fonti
di approvvigionamento, destinando quindi parte dell’energia nucleare all’uso
domestico, liberando le altre risorse provenienti da gas e petrolio per i
mercati stranieri.
Sullo sfondo della posizione
ufficiale russa, si stagliano le crescenti divergenze fra Mosca ed il mondo
occidentale. Contrasti che hanno a che vedere con la progressiva ingerenza
euro-americana nell’Europa dell’est, al culmine di un processo cominciato in
seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e coincidente con l’attuale
crisi ucraina. La Russia, penalizzata negli ultimi mesi dalla politica delle
sanzioni stabilita dall’Occidente, ritiene irrinunciabile la prelazione nei
rapporti con quello spazio post-sovietico che percepisce ancora come propria
esclusiva sfera d’influenza. Le tensioni con Washington e Bruxelles
costituiranno, quindi, un fattore determinante nella nuova equazione geopolitica
che scaturirà se l’accordo sul nucleare andrà a buon fine.
Tuttavia, sebbene profilino il
rischio di acuire ulteriormente l’isolamento internazionale di Mosca, i
colloqui sul nucleare iraniano rappresentano un atout che la Russia può sfruttare a proprio vantaggio per
continuare a mantenere l’attuale livello di influenza politica ed economica sul
Medio oriente e sul Caucaso. L’Iran, grazie anche all’isolamento a cui il
regime degli Ayatollah è costretto da anni, costituisce – geostrategicamente
parlando – una pedina formidabile da sfruttare a tal fine. Il notevole livello
di cooperazione sul fronte energetico con Tehran è dato dagli esiti di una
relazione cominciata a metà degli anni Novanta quando Mosca si è incaricata di
proseguire i lavori della centrale nucleare di Bushehr, lasciati incompiuti
dalla Germania. Stando a quanto dichiarato dall’ex Ministro dell’energia Sergei
Shmatko, nella centrale, attiva dal 2011 e completata grazie all’opera
dell’azienda statale russa Rosatom, lavoravano circa 1500 operai russi[3].
La Rosatom, subentrata alla precedente ditta appaltatrice Atomstroyexport, ha
definitivamente trasferito ogni capacità operativa all’Iran[4].
La Russia, inoltre, ha mostrato uno spiccato appetito per le risorse
petrolifere iraniane. Tehran ha un gran bisogno di destinare all’export una
produzione che in questo settore la vede al secondo posto nella classifica
mondiale – mentre Mosca occupa appena il settimo. Pertanto, è lecito ritenere
che fra le ragioni del legame «amichevole» con gli iraniani (ribadito anche da
questi ultimi a Losanna) vi siano le preoccupazioni russe circa le enormi
potenzialità di cui le risorse energetiche persiane godrebbero in un regime di
libero mercato mondato dalle sanzioni: costruire una partnership di fiducia,
insomma, è utile a Mosca per ottenere benefici futuri sul prezzo degli
idrocarburi.[5]
Proprio nove mesi fa, fra l’altro, i due Paesi hanno siglato un’intesa per il
trasferimento di beni materiali dalla Russia all’Iran in cambio di un ammontare
di petrolio pari a cinquecentomila barili al giorno ad un prezzo agevolato[6].
Un accordo favorevole non solo per Tehran nell’ottica di facilitare le proprie
esportazioni, alleggerendo così il peso del regime delle sanzioni, ma anche per
Mosca allo scopo di stringere ulteriormente i rapporti economici con gli
iraniani, in modo tale da mettersi al riparo dalle conseguenze delle tensioni
con Europa e America.
Negli ultimi anni le relazioni fra
i due Paesi si sono intensificate anche sotto il profilo militare, ancorché
vada precisato che non è mai stato siglato ufficialmente alcun accordo
strategico formale. Ai colloqui di Losanna la Russia ha annunciato di essere
disposta a riesumare un’intesa che, congelata nel 2010 in seguito alle
pressioni internazionali, prevedeva la fornitura di un sistema missilistico
denominato S-300 e che oggi ruota attorno ad un sistema avanzato denominato
Antey-2500. Anche se i russi avrebbero dichiarato che l’eventuale decisione di
riattivare l’accordo sarebbe pienamente legittima e non metterebbe in pericolo
la sicurezza nella regione[7],
è evidente che il nuovo sistema, pur dichiaratamente difensivo, alimenta i
timori del principale alleato americano in Medio oriente, Israele. Tuttavia, i
funzionari russi si sono affrettati a precisare che Putin si è meramente
limitato a rimuovere il bando sulla fornitura, lasciando intendere che il passo
da qui alla vendita effettiva del sistema missilistico è sostanziale: come
sostiene l’analista Ruslan Pukhov, è probabile che con questa mossa il
Presidente russo stia cercando una «moneta di scambio» da utilizzare in futuro
con Stati Uniti e Israele[8].
L’eventuale buona riuscita
dell’accordo sul nucleare iraniano, di cui la Russia potrebbe fregiarsi di
essere una delle principali artefici, potrà servire a Mosca per continuare ad
avere voce in capitolo nelle principali questioni mediorientali. Vantare una
partnership privilegiata e condita di aspetti sostanziali, quale ad esempio
l’alto livello di integrazione economica, assegnerebbe alla Russia una grossa
quota di influenza politica nella regione da spendere a proprio vantaggio
nell’annosa partita con l’Occidente sulle questioni che riguardano più
direttamente il «cortile» di casa sua. L’Iran, infatti, non risulta essere
l’obiettivo ultimo ma meramente uno strumento, per quanto importante, della
strategia russa per la sopravvivenza all’isolamento internazionale; un mezzo
che si affianca ad altre mosse tattiche utili a garantire a Mosca la
possibilità di limitare i danni delle sanzioni occidentali e delle tensioni
seguite alla crisi ucraina. Fra queste vi è, peraltro, la rinnovata intesa con
la Turchia di Erdogan per il superamento del gasdotto South Stream, di cui
molto si è parlato negli ultimi anni e che, ora naufragato, avrebbe dovuto
condurre il gas russo all’Europa attraverso la penisola anatolica. Tramontato
questo progetto l’anno scorso, in seguito alle pressioni europee sulla
Bulgaria, resta in piedi il solo Turkish Stream, un progetto che nasce dalle
ceneri del South Stream, del quale l’unico contractor
rimane Gazprom, avendo rilevato le quote delle altre compagnie precedentemente
impegnate nel progetto. Per la fornitura di gas, la Russia si limiterà ad
intrattenere rapporti diretti solo con la Turchia e sarà quest’ultima ad
incaricarsi di far affluire l’energia in Europa, con probabili aumento dei
costi per i Paesi del Vecchio Continente[9].
Dal quadro che si è tentato di
dipingere, emerge che la Russia potrebbe ottenere apprezzabili benefici dalla
buona riuscita dell’accordo sul nucleare iraniano, limitando così i danni del
raffreddamento delle relazioni con l’Occidente. In generale, Putin sa
perfettamente che il potere economico di cui dispone il suo Paese può essere
sapientemente e pragmaticamente tradotto in potere d’influenza politica, grazie
al quale potrà continuare a confrontarsi con l’Europa avendo il coltello dalla
parte del manico su diverse questioni. Il legame che ormai si è instaurato con
Tehran è tale per cui Mosca uscirebbe vincitrice anche in caso di un mancato
accordo finale; la Russia proseguirebbe con la tessitura di relazioni
bilaterali o multilaterali utili alla crescita della propria economia e della
propria capacità di influenzare le dinamiche mondiali, arginando così i
contrasti sempre più accesi col mondo occidentale. Vale anche la pena di
frenare l’entusiasmo di chi vede nella buona riuscita dell’accordo sul nucleare
iraniano la realizzazione di una subitanea e completa distensione dei rapporti
fra l’Iran e gli Stati Uniti (per non parlare di Israele). Certamente, uno
scenario del genere non si profilerà nell’immediato futuro, vista la tendenza
degli ultimi tre decenni e mezzo. Proprio per tale ragione, la Russia potrà
continuare a godere dei benefici di una relazione con l’Iran certamente più
intensa rispetto a quella fra Tehran e Washington.
In definitiva, le mosse della
Russia, se interpretate attraverso la lente realista, paiono congeniali più ad
una linea di politica estera improntata al pragmatismo che alla ricerca di
legami stabili nel tempo e da cui diverrebbe complicato e costoso sganciarsi. Pertanto,
più che di «alleanza strategica» sarebbe opportuno parlare di «partnership
sospettosa», come suggerivano altri studiosi qualche tempo fa[10].
[1] Ali Jalali, The strategic partnership of Russia and Iran,
Parameters, Winter 2000-2001, pp. 98-111.
[2] Russian approaches towards the Iranian nuclear program, http://www.rusemb.org.uk/in4b/;
Nikolay Kozhanov, Russia’s position on
Iran’s nuclear program, The Washington Institute for Near East Policy, 19
aprile 2012, http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/russias-position-on-irans-nuclear-program
[3] John Daly, Iranian Bushehr nuclear power plant comes
online, 15 settembre 2011, http://oilprice.com/Geopolitics/Middle-East/Iranian-Bushehr-Nuclear-Plant-Comes-Online-World-Survives.html.
[4] Anna Borshchevskaya, How Russia views the Iran nuclear talks,
18 marzo 2015, http://breakingenergy.com/2015/03/18/how-russia-views-the-iran-nuclear-talks/.
[5] Andrei Retinger, Russia-Iran deal is about more than nuclear
power, 26 novembre 2014, http://rbth.co.uk/opinion/2014/11/26/russia-iran_deal_is_about_more_than_nuclear_power_41727.html.
[6] Jonathan Shaul, Parisa
Hafezi, Exclusive: Iran, Russia
negotiating big oil-for-goods deal, http://www.reuters.com/article/2014/01/10/us-iran-russia-oil-idUSBREA090DK20140110.
[7] New round of Iran nuclear programme talks: Russia’s view, http://www.rusemb.org.uk/ambarticles/430;
Mark Katz, Putin, Netanyahu and the S-300
missile sales to Iran, 16 aprile 2015, http://www.lobelog.com/putin-netanyahu-and-the-s-300-missile-sales-to-iran/.
[8] Carl Schreck, Russia flexes missile diplomacy with Iran,
13 aprile 2015, http://www.rferl.org/content/russia-iran-missile-diplomacy/26953746.html.
[9] Evgeny Utkin, Turkish Stream: cercasi un nuovo nome,
13 aprile 2015, http://www.abo.net/oilportal/topic/view.do?contentId=2415314.
[10] Bulent Aras, Fatish Ozbay, The limits of the Russian-Iranian strategic
alliance: its history and geopolitics, and the nuclear issue, The Korean
Journal of Defense Analysis, Vol. 20, No. 1, Marrch 2008, pp. 45-60.
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