(commento già apparso sul sito dell'OPI - Osservatorio di politica internazionale e reperibile cliccando sul seguente link http://www.bloglobal.net/2016/06/ambizioni-erdogan-turchia-cambiamento.html).
Turchia, giugno 2015. Appena un anno fa. Elezioni per l’avvio della ventiquattresima legislatura. La Turchia è sull’orlo dello stallo politico. Nessuno dei partiti – nemmeno l’AK Parti di Erdoğan che aveva vinto le precedenti tre tornate elettorali (2002, 2007, 2001) – ottiene la maggioranza assoluta per formare un nuovo governo. I tentativi di creare comunque una compagine politica per sostenere un esecutivo falliscono miseramente e il Presidente Erdogan si trova costretto ad indire nuove elezioni per il mese di novembre. La situazione si fa assai più chiara: l’AK Parti stravince ottenendo il 49,5% dei voti, tradotti in 317 seggi, la maggioranza assoluta. Ora può governare da solo e Erdogan si appresta a divenire quel “sovrano” incontrastato che può scegliere la forma del sistema politico-istituzionale che più lo aggrada.
Turchia, giugno 2015. Appena un anno fa. Elezioni per l’avvio della ventiquattresima legislatura. La Turchia è sull’orlo dello stallo politico. Nessuno dei partiti – nemmeno l’AK Parti di Erdoğan che aveva vinto le precedenti tre tornate elettorali (2002, 2007, 2001) – ottiene la maggioranza assoluta per formare un nuovo governo. I tentativi di creare comunque una compagine politica per sostenere un esecutivo falliscono miseramente e il Presidente Erdogan si trova costretto ad indire nuove elezioni per il mese di novembre. La situazione si fa assai più chiara: l’AK Parti stravince ottenendo il 49,5% dei voti, tradotti in 317 seggi, la maggioranza assoluta. Ora può governare da solo e Erdogan si appresta a divenire quel “sovrano” incontrastato che può scegliere la forma del sistema politico-istituzionale che più lo aggrada.
Rispetto alle elezioni di giugno,
lo scenario politico è davvero cambiato. In quella tornata, il grande vincitore
era stato l’HDP, il partito filo-curdo che, con il 13,12 dei voti aveva
ottenuto gli stessi parlamentari del terzo classificato, il nazionalista MHP
(16,29%) e, all’interno di un Parlamento funzionante, avrebbe potuto sfidare
apertamente le politiche dell’AK Parti, sia sul piano delle riforme
costituzionali, sia su quelle riguardanti il problema curdo. Sulla questione
curda, in realtà, proprio a giugno c’era stata una decisiva battuta d’arresto,
con Erdogan che decretava la cessazione dei negoziati col PKK e la definitiva
messa in soffitta di quell’«apertura curda» che era stata avviata anni prima
quando ancora era capo del Governo. Su questo versante, è plausibile che
l’evolversi delle vicende della guerra in Siria siano state a un tempo causa e
conseguenza della decisione presa da Erdogan. Certo è che, fin dall’indomani
dello scoppio della guerra civile siriana, il vero obiettivo della Turchia
sembra essere il PKK e le organizzazioni anche solo ideologicamente ad esso
connesse, quale ad esempio il Partito dell’Unione Democratica (PYD), principale
formazione partitica di opposizione curda in Siria, e la formazione militare ad
esso associata, l’Unità di Protezione Popolare (YPG), legittimata e sostenuta
dalle principali potenze in guerra contro l’ISIS (Stati Uniti e Russia in primis), e protagonista della
coraggiosa resistenza nella roccaforte di Kobane, posta sotto assedio dalle
milizie nere del Califfato di al-Baghdadi tra la fine del 2014 e l’inizio del
2015.
Dal punto di vista politico
interno, la legislatura cominciata poco più di sei mesi fa mostra segni
inequivocabili che vanno nella direzione di un sempre più marcato controllo del
sistema istituzionale da parte di Erdogan. Questa deriva, che da molti
oppositori è vissuta come autoritaria, trova il suo culmine in due provvedimenti
cruciali che hanno investito la politica turca nelle ultime settimane. Il primo
ha a che fare con la destituzione del Premier Ahmet Davutoglu, col quale
Erdogan si trovava ormai ai ferri corti. Le divergenze su molte questioni, come
la conduzione della guerra in Siria, l’approccio al problema curdo o le riforme
costituzionali, hanno reso ulteriormente impraticabile la coesistenza fra i due[1].
L’ex responsabile degli affari esteri e teorizzatore della dottrina della
«profondità strategica» è stato sostituito il 22 maggio da Binali Yildirim,
sodale di Erdogan, in seguito ad una riunione straordinaria del partito. Con
questa mossa, Erdogan intende assicurarsi la fiducia di uomini leali,
mettendosi al riparo da eventuali sgambetti provenienti dall’interno del suo
partito, soprattutto per quanto concerne l’assunzione di decisioni importanti
nella direzione di un sistema presidenziale.
Proprio a questo scopo, l’AK Parti
ha recentemente presentato in Parlamento un pacchetto di riforme costituzionali
contenente un provvedimento che consente al Presidente della Repubblica di
essere membro di un partito (partisan
president system)[2]. Infatti,
secondo quanto dispone l’articolo 101 della Costituzione attualmente in vigore,
la carica di Presidente della Repubblica è incompatibile con la membership di partito. Al Presidente, di
conseguenza, è fatto divieto di presenziare ai meeting del partito e di svolgere qualsivoglia attività legata al
medesimo. La norma era stata concepita in origine per conferire un’aura di
terzietà ed indipendenza alla figura del Presidente della Repubblica,
incaricato di rappresentare gli interessi generali della nazione turca e non
quelli esclusivi di una «parte». Di fatto, però, come conferma il turnover fra Davutoglu e Yildirim voluto
da Erdogan, questo principio viene abitualmente già violato. Inoltre, in base
alla nuova formulazione dell’articolo 104, il Presidente non sarà più solamente
«capo dello Stato» ma anche «capo dell’esecutivo». Con la nomina di Yildirim,
il Presidente si augura che la svolta istituzionale in senso presidenzialista
auspicata da anni venga posta come priorità dal nuovo governo. In effetti, la
rilevanza di cui Erdogan gode all’interno dell’AK Parti e il ruolo che da
questa gli deriva è stato sottolineato dal Ministro della Giustizia Bekir
Bozdag in occasione della convention
straordinaria di partito il 22 maggio quando è stato nominato Yildirim: «l’AK
Parti continuerà ad essere il partito di Tayyip finché il nostro popolo
continuerà a dire che “l’AK Parti è il partito di Tayyip”. Non è possibile
pensare che l’AK Parti sia altro rispetto al nostro Presidente o che il nostro
Presidente sia altro dall’AK Parti. L’AK Parti ha solo un leader, il nostro
Presidente Recep Tayyip Erdogan»[3].
La seconda misura in questione che
spinge gli avversari dell’AK Parti a parlare di «svolta autoritaria» è
rappresentata dal progetto di legge approvato in Parlamento qualche settimana
fa, volto a rimuovere l’immunità per i deputati[4].
Questo istituto garantiva ai deputati destinatari di accuse depositate presso i
tribunali ordinari la mancata procedibilità nei loro confronti per tutta la
durata del mandato. Il provvedimento, votato a maggioranza assoluta (376 voti
su 550: non è quindi necessaria l’approvazione tramite referendum popolare) col
sostegno dell’AK Parti ma anche di fette del partito repubblicano (CHP),
finisce per colpire automaticamente 138 parlamentari; di fatto, interessando
ben 50 deputati su 59 appartenenti al Partito Democratico del Popolo (HDP), la
misura viene vista come un duro attacco all’unico soggetto che rappresenta le
istanze curde in Parlamento e convalida l’approccio oltranzista di Erdogan alla
questione curda adottato a partire dal fallimento dei negoziati di pace
registrato l’anno scorso[5].
Il Presidente ha ripetutamente richiesto l’incriminazione di diversi membri
dell’HDP, ritenuti conniventi con il PKK e quindi corresponsabili della ripresa
delle attività terroristiche che dal 2015, a partire dal simbolico attentato di
Suruc, stanno colpendo obiettivi turchi. Diversi membri dell’HDP hanno
partecipato ai funerali di militanti del PKK uccisi in combattimento. Erdogan
ha esplicitamente affermato che il Parlamento non può assolutamente essere
concepito come un «rifugio sicuro» per ripararsi dai procedimenti penali[6].
Per il Presidente il problema curdo, inteso da un punto di vista politico,
sociale ed economico, di fatto non esiste: esso è un mero problema militare e
come tale va affrontato.
Se gli appartenenti all’HDP vivono
il provvedimento sulla rimozione delle immunità parlamentari sia come un
attacco rivolto contro di essi al fine di silenziarli ed emarginarli dal
processo politico democratico, sia come una misura tesa a consolidare la presa
di Erdogan e dell’AK Parti sul potere politico, a detrimento dei rappresentanti
della fazione curda, a loro volta i deputati dell’AK Parti si giustificano
asserendo che questo provvedimento colpisce anche ben 27 fra i loro deputati[7].
In ogni caso, va precisato che fra quei 138 membri del Parlamento destinatari
di procedimenti penali ne figurano anche 51 appartenenti al CHP e 9 che
militano nelle fila del partito nazionalista MHP. Inoltre, tutti i leader dei
tre principali partiti di opposizione dell’AK Parti sono destinatari di
procedimenti penali da avviare – Kemal Kiricdaroglu del CHP, Devlet Bahceli
dell’MHP e Selahettin Demirtas dell’HDP. Nessuno sa come andranno a finire i
processi che verranno intrapresi contro questo gruppo così folto di
parlamentari. La cosa certa è che probabilmente le accuse più pesanti sono
proprio rivolte ai parlamentari dell’HDP (riguardano il presunto coinvolgimento
in attività terroristiche del PKK). E’ difficile, pertanto, sposare appieno le
giustificazioni addotte dall’AK Parti e bollare come del tutto infondate le
tesi avanzate dal partito di Demirtas.
La questione curda era stata presa
in mano direttamente da Erdogan che nel 2009 aveva avviato quell’iniziativa
battezzata come «apertura curda» che aveva portato al riconoscimento di alcuni
fondamentali diritti dei curdi quali l’utilizzo della lingua nelle scuole e la
diffusione di programmi televisivi in lingua[8].
La forte relazione che, poi, la Turchia, aveva instaurato col governo regionale
del Kurdistan (KRG) di Massoud Barzani aveva dato ad Erdogan la convinzione di
poter più facilmente controllare i curdi residenti nella zona sudorientale
della Turchia, ottenendone il consenso sotto la bandiera islamica[9].
Tuttavia, il mancato appoggio ai curdi di Siria nella loro battaglia contro
l’ISIS, soprattutto durante l’assedio di Kobane e la focalizzazione sul problema
del terrorismo curdo di matrice PKK hanno portato l’HDP al grosso risultato
elettorale del giugno 2015, col conseguente naufragio del processo di pace,
forse mai realmente preso sul serio da Erdogan.
In definitiva, lo scenario più
probabile che si sta aprendo in Turchia vede da un lato la radicalizzazione
della questione curda e la conseguente riproposizione di un’antica frattura,
mai sopita, fra i «turchi» e i «turchi delle montagne» (come venivano spesso
etichettati gli abitanti di etnia curda). Dall’altro lato, in questo biennio di
Presidenza, si è assistito ad una sempre maggior ingerenza negli affari
governativi da parte di Erdogan, che ha assunto prerogative non inerenti alla
funzione di Presidente della Repubblica. E’ evidente l’insofferenza che vive
Erdogan, soprattutto da quando è divenuto Presidente, legata alla volontà di
esercitare uno stretto controllo sul processo politico intervenendo in prima
persona, sebbene questo significhi farlo in modo illegittimo sotto il profilo
costituzionale e a scapito della professionalità e del lavoro di colleghi
esperti come Davutoglu. Nel campo della politica estera e dell’evoluzione della
guerra in Siria, nell’ultimo anno si è verificata un’accelerazione degli eventi
voluta proprio da Erdogan, con la partecipazione attiva – ufficialmente, per la
prima volta – alle operazioni contro l’ISIS[10]
– anche se va sempre evidenziata la zona grigia in cui le operazioni vengono
condotte, vale a dire colpendo prioritariamente obiettivi del PKK[11].
L’ingerenza nel processo decisionale del Governo, con l’assunzione in prima
persona di decisioni che vanno al di là dei poteri presidenziali, al punto da
suscitare addirittura la reazione di uno dei fondatori dell’AK Parti, il
deputato Bulent Arinc[12]
configurano un futuro per la Turchia all’insegna di riforme cìattraverso le
quali Erdogan tenterà in tutti i modi di aumentare il proprio potere e la
propria libertà di iniziativa. I numeri ci sono e non sembrano più esserci
freni ad un esercizio personalistico del potere.
Sinora, la partita politica per il
potere sembra essere sempre più nelle mani dell’ormai «super-presidente».
Erdogan è riuscito nell’impresa di far affondare l’iniziativa curda da lui
stesso auspicata ed avviata – assai probabilmente anche per compiacere le élite europee nel delicato dialogo per
l’avvio dei negoziati per l’accesso all’Unione. e ci è riuscito giocando
brillantemente la carta del nazionalismo con cui è riuscito in qualche modo a
spingere i curdi a schierarsi con le frange più estreme del terrorismo di matrice
PKK. D’altronde, sarà molto curioso capire che esito sortirà l’intesa con la
stessa Unione Europea, avviata da Davutoglu, che ha quale posta in gioco lo
scambio liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi contro rimpatrio dei
rifugiati siriani. Molto dipenderà da quali mosse Erdogan sceglierà di adottare
nel teatro di guerra siriano e da quali partner internazionali sarà in grado di
attrarre a sé, considerando le relazioni abbastanza tese sia con l’Iran che con
gli Stati Uniti – per non parlare dell’inimicizia, ormai conclamata, con la
Russia. Molto dipenderà da quali modalità lo stesso Erdogan, anche in funzione
delle scelte legate al nuovo sistema costituzionale, adotterà per gestire d’ora
in avanti lo spinoso problema curdo all’interno del proprio Paese.
[1] Turan Yilmaz, Gizem
Karakis, 20 confrontations between
Davutoglu and Erdoganduring 20 months of prime ministry, http://www.hurriyetdailynews.com/20-confrontations-between-davutoglu-and-erdogan-during-20-months-of-prime-ministry.aspx?PageID=238&NID=98825&NewsCatID=338,
6 maggio 2016.
[2] Nuray Babacan, AKP gears up for constitutional package on
“partisan president system”, 11 maggio 2016, http://www.hurriyetdailynews.com/akp-gears-up-for-constitutional-package-on-partisan-president-system.aspx?pageID=238&nID=99031&NewsCatID=338.
[3] Erdogan believes new gov’t will prioritize system change, http://www.hurriyetdailynews.com/erdogan-believes-new-govt-will-prioritize-system-change-.aspx?pageID=238&nID=99492&NewsCatID=338,
22 maggio 2016.
[4] Turkish Parliament controversially OKs trial of deputies facing legal
cases, http://www.hurriyetdailynews.com/turkish-parliament-controversially-oks-trial-of-deputies-facing-legal-cases.aspx?pageID=238&nID=99434&NewsCatID=338,
20 maggio 2016.
[5] Ece Toksabay, Turkey’s pro-Kurdish opposition says
lifting immunity will bring more violence, http://uk.reuters.com/article/uk-turkey-kurds-demirtas-idUKKCN0XV1CC,
4 maggio 2016.
[6] Ahmed al-Burai, What’s behind Turkey’s bill of immunity,
http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2016/05/turkey-bill-immunity-160529083635081.html,
29 maggio 2016.
[7] Turkey passes bill to strip politicians from immunity, http://www.aljazeera.com/news/2016/05/turkey-passes-bill-strip-lawmakers-immunity-160520103841992.html,
20 maggio 2016.
[8] Stephen Larrabee, Gonul
Tol, Turkey’s Kurdish challenge,
Survival, Vol. 53, n. 4, pp. 143-152, August-September 2011.
[9] Cfr. l’analisi di Hakan
Yavuz e Nihat Ali Ozcan, Turkish
democracy and the Kurdish question, Middle East Policy, Vol. XXII, N. 4,
pp. 73-87, Winter 2015.
[10] Liz Sly, Eric Cunningham, Turkey strikes Islamic State targets in
Syria for the first time, https://www.washingtonpost.com/world/turkey-strikes-islamic-state-targets-in-syria-for-the-first-time/2015/07/24/c68b0377-8785-4306-bc7e-ffe4b866d9ab_story.html,
24 luglio 2015.
[11] Stephen F. Larrabee, Turkey and the changing dynamics of the
Kurdish issue, Survival, Vol. 58, N.2, pp. 67-73, April-May 2016.
[12] Gönul Tul, Erdogan, his own worst enemy, Middle
East Institute, http://www.mei.edu/content/article/erdogan-his-own-worst-enemy,
1 aprile 2015.
No comments:
Post a Comment