Quando manca ormai meno di un anno alle elezioni presidenziali, il sistema politico della Repubblica
Islamica vede sempre più marcata la polarizzazione fra le due principali forze
di regime, quella facente capo alla Guida della Rivoluzione Ali Khamenei e
quella stretta attorno al Presidente Mahmoud Ahmadinejad. La tornata elettorale
per rinnovare i 290 deputati del Majlis
(Parlamento) della scorsa primavera ha confermato la vis preponderante della fazione principalista di Khamenei, che
ormai controlla tutte le istituzioni fondamentali del paese. Un dominio che non
sta più solo sulla carta (la Costituzione emendata nel 1989 assegna già alla
Guida le prerogative più estese), ma che è potere di fatto.
Il sistema
politico iraniano
La Repubblica Islamica è un
singolarissimo animale politico che vede al suo interno la convivenza di
istituzioni che fanno appello a due differenti tipi di legittimità: quella
politica, il cui principio di legittimazione è la sovranità popolare, e quella
religiosa, che invece fa risiedere in Dio e nei principi islamici il fondamento
della propria autorità e del proprio consenso.
Le istituzioni religiose sono, per
dettato della Carta costituzionale, sovraordinate a quelle di natura politica.
Dall’interazione fra queste scaturisce una dialettica spesso conflittuale che
può sfociare in uno scontro capace di paralizzare il sistema. In particolare,
la storia della Repubblica Islamica ha conosciuto spesso la contrapposizione
fra la Guida e il Presidente. Normalmente, in presenza di comunione di intenti,
ovvero di condivisione di fini e valori, regna la pace; pertanto, l’efficiente
funzionamento del sistema non è minacciato. Viceversa, se questa condizione
viene a mancare, com’è accaduto soprattutto durante l’era della Presidenza
Khatami, il conflitto esplode in tutta la sua prorompenza.
L’altra linea di conflittualità che
attraversa il sistema politico iraniano contrappone il Parlamento, titolare
della funzione di rappresentanza della sovranità popolare, ed il Consiglio dei
Guardiani, istituzione religiosa formata da 12 membri, sei religiosi nominati
dalla Guida e sei laici nominati dal vertice del potere giudiziario (a sua
volta designato dalla Guida). Esso ha il potere di sindacare l’idoneità dei
candidati che si presentano alle elezioni
e di bocciare tutti coloro che non sono “graditi” al regime. Ha inoltre
il potere di vagliare la legittimità dei provvedimenti adottati dal Parlamento,
ricorrendo alla Costituzione ed alle norme islamiche quali parametro di
legittimità, fungendo da camera alta. Generalmente, la lotta fra istituzioni
concorrenti si è sempre risolta a favore di quelle religiose su quelle
politiche. A dirimere gli eventuali conflitti fra Majlis e Consiglio dei Guardiani è preposto il Consiglio di
discernimento, altro organo religioso controllato dalla Guida.
L’attuale
congiuntura politica interna
In seguito alle contestate elezioni
presidenziali del 2009, che hanno visto la riconferma di Ahmadinejad e il
diretto sostegno di Khamenei, le due figure hanno intrapreso due percorsi divergenti. L’attuale stallo politico al vertice del regime si può spiegare
come il tentativo da parte di Ahmadinejad di dare una spallata alla vecchia nomenklatura, parte della quale (il
cosiddetto fronte “riformista”) è stata fatta fuori per effetto
dell’imposizione del verdetto elettorale attraverso l’uso della forza e la
repressione di piazza. Primo presidente non clericale dopo Bani-Sadr,
Ahmadinejad è espressione del “potere degli elmetti”, provenendo dalle fila dei
Pasdaran (le Guardie della
Rivoluzione) in cui aveva fatto ingresso attorno alla metà degli anni Ottanta,
in piena guerra contro l’Iraq. L’ex sindaco di Tehran rappresenta (o, per lo
meno fino a qualche tempo fa, è stato rappresentante di) una forza del Paese
che negli ultimi anni ha acquisito sempre maggiore peso nella gestione
politica, economica e militare del paese. Sotto le mentite spoglie di un
processo di liberalizzazione, infatti, i Pasdaran
hanno progressivamente acquisito il controllo di settori chiave dell’economia
iraniana attraverso un processo in cui lo Stato affida la gestione dei servizi
a società formalmente distinte dalle Guardie della Rivoluzione e, tuttavia, ad
esse legate a doppio filo. E così, i Pasdaran
si trovano oggi ad amministrare l’industria militare, petrolifera e del gas, le
costruzioni, le telecomunicazioni e l’economia sommersa.
Lo scontro al vertice ha poi
riguardato la nomina di alcuni reggenti di ministeri considerati fondamentali,
quali ad esempio gli Esteri, il Petrolio e soprattutto l’Intelligence e la
sicurezza nazionale. Se a capo dei primi due Ahmadinejad è riuscito ad imporre
uomini di sua fiducia (rispettivamente Ali Akbar Salehi nel dicembre 2010 e
Rostam Ghasemi nell’agosto del 2011), al contrario ha fallito nel tentativo di
rimuovere il titolare del terzo, cioè di quel Ministero che, fra le altre cose,
è preposto alla verifica dell’esito delle elezioni – che è rimasto sotto la
guida di Heydar Moslehi.
L’esito delle elezioni parlamentari
della scorsa primavera, infine, ha fornito un’indicazione della probabile
tendenza del rapporto di forze al vertice del potere. La fazione dei
conservatori stretti attorno a Khamenei ha sbaragliato la concorrenza,
ottenendo circa i tre quarti dei seggi. I riformisti sono, com’è noto, fuori
dai giochi; i loro rappresentanti (Moussavi e Karroubi) si trovano agli arresti
domiciliari dal febbraio 2011 e, al momento, niente fa ritenere che la partita
decisiva che si giocherà nella prossima primavera riguarderà anche loro. La
fazione di Ahmadinejad ha fallito in modo rovinoso certamente a causa del
lavoro di obliterazione operato sui suoi candidati dal Consiglio dei Guardiani.
Se si escludono i Pasdaran, i cui
vertici hanno peraltro operato l’endorsement
a favore di Khamenei, le principali istituzioni del paese sono ormai
interamente controllate dalla Guida. In realtà, parte dell’insuccesso
elettorale del Presidente va probabilmente ascritto anche alle scarse performance del governo in materia economica,
essendo stato eliminato il sistema di sussidi statali allo scopo di venire
incontro alle richieste formulate dalle istituzioni economiche internazionali.
Le famiglie iraniane, che grazie a quei sussidi campavano, hanno certamente
avvertito il colpo.
Le pressioni
sul versante internazionale
Se a questa situazione si somma la
serie di eventi occorsi negli ultimi mesi sul versante internazionale si può
azzardare, con discreta certezza, la probabile affermazione di un
candidato vicino a Khamenei. Ahmadinejad non ha la forza per imporre un
concorrente a lui incline. Da tempo si vocifera che questa figura potrebbe
essere il suo consigliere ed amico Esfandiar Rahim Mashaei, con un’operazione
che ricorderebbe molto da vicino quella attuata dal tandem Putin-Medvedev nella
vicina e strategicamente alleata Russia. Mashaei è inviso all’establishment clericale conservatore per
le ripetute esaltazioni del passato pre-islamico della nazione persiana, per
alcune dichiarazioni di distensione nei rapporti con Israele e per l’attacco ai
principi del velayat-e faqih, su cui
si regge tutta la legittimità interna del regime. Posizioni inconciliabili con
quelle del clero vicino a Khamenei (che è comunque numericamente di gran lunga
inferiore a quello “non impegnato” politicamente) che hanno suscitato
addirittura il risentimento e l’anatema dell’ormai ex-mentore di Ahmadinejad,
l’influente Ayatollah Mesbah-Yazdi.
La delicata situazione siriana e le
continue minacce di un attacco militare da parte di Israele (non impossibile ma
comunque abbastanza improbabile) costringono i due avversari a mosse assai caute in politica estera. Il rinnovato dialogo sul nucleare con le potenze
occidentali, riattivato all’inizio di quest’anno, non ha ancora portato ad una
soluzione del problema. Lo scopo, confermato dal un “nulla di fatto” seguito ai
vari step, sembra semmai quello di guadagnare tempo approfittando dello stallo
a livello internazionale. Tema, quello dell’energia nucleare a scopi pacifici,
su cui entrambi i contendenti puntano, mostrando una non voluta comunione di
interessi che andrebbe interpretata più come un motivo di risveglio
dell’orgoglio nazionale che come un tema da sfruttare per una polemica
orientata a catturare, sotto la bandiera della religione, il consenso regionale
contro Israele.
Nel frattempo, il nuovo round di
sanzioni voluto dall’Occidente, finisce per colpire non il regime (il reale
obiettivo), ma la popolazione e la sua classe media. Questo esito avrà
certamente ripercussioni più negative su Ahmadinejad e il suo governo che su
Khamenei, il quale ha inoltre tratto beneficio dal recentissimo vertice tenutosi a
Tehran del Movimento dei Non Allineati per isolare sempre più il rivale e
accreditare, sotto la sua guida, l’Iran come potenza di riferimento per tutti
quei paesi che intendono porre il bando alla proliferazione delle armi
nucleari. Il successo del vertice è stato confermato sia dalla folta presenza a
livello di capi di stato e/o di governo di partner anche regionali, tra cui
l’Egitto del Presidente Morsi, sia dalla condanna formulata da Israele che
avverte sempre più la minaccia dell’isolamento dal contesto di appartenenza e
l’abbandono, almeno in questa fase, da parte dell’alleato americano.
Conclusione
Le principali vicende di politica
interna degli ultimi tre anni, vale a dire dalla repressione del movimento
dell’Onda verde e dalla riconferma di Ahmadinjead alla presidenza hanno visto
divergere le due principali istituzioni del regime. Anche sotto la bandiera
della religione – in gioco non vi sono solo due visioni differenti del ruolo
dell’Islam nella Repubblica Islamica ma anche due interpretazioni contrapposte
della dottrina del Dodicesimo Imam – e certamente sul versante della politica
economica, si sta combattendo un’aspra battaglia che ha come posta in gioco il
potere.
La partita sembra essere destinata
ad un esito scontato, con la vittoria del fronte di Khamenei. In realtà nessuno
conosce il peso reale che Ahmadinejad esercita tra le masse (il quorum
partecipativo alle ultime elezioni parlamentari si è assestato al 64%), né il
vero consenso di cui gode fra le fila e i ranghi dei Pasdaran, probabilmente il vero ago della bilancia in questo gioco.
A contrapporsi, nell’immediato futuro, potrebbero proprio essere il potere
degli elmetti, in costante ascesa negli ultimi anni, e quello dei turbanti,
ormai abbarbicati al potere e per ciò stesso invisi a larghi strati di una
popolazione giovane, noncurante delle dispute di carattere teologico e
maggiormente interessata alla realizzazione dei propri bisogni esistenziali.
Con il fronte riformista fuori
gioco (i cui capi in realtà sono solo un’altra faccia del regime), il popolo
iraniano e la generazione dei giovani nata dopo la Rivoluzione che ha
conosciuto solo l’attuale tipo di regime dovrà trovare nuove forme di
organizzazione da contrapporre al potere degli Ayatollah. Tuttavia, data l’assenza di queste stesse forme di organizzazione,
l’esito più scontato della sfida così come pronosticato nelle righe sopra sembra difficilmente poter essere messo in discussione.
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